Chi inquina gode, chi s’accontenta muore. Storie di imprenditori predatori. Parte 1

UNA SERIE DI INTERMINABILI EVENTI

Marzo 2019, Dogliani: un allevatore di suini che riversa nel Rio Gamba scarichi abusivi è denunciato: il fiume si tinge di colori anomali.

Giugno e luglio 2019: dalla ditta Italgelatine arriva puzza di marcio e la nube si diffonde nell’aria chilometri, dura intere settimane. Agosto, un fiume a Canale che diventa bianco e i pesci morti galleggiano sulla sua superficie.

Agosto 2019, Niella Tanaro: la ditta B&A gestisce scorie e ceneri provenienti dall’industria pesante senza inertizzarle e trattarle come dovrebbe, provocando la contaminazione di un intero sito. Senza contare le tonnellate di plastica nei rii, gli scarichi abusivi nel Tanaro, i trattamenti intensivi a vigne e nocciole.

Le sostanze nocive finiscono nei nostri polmoni, nelle verdure che mangiamo e nella carne, nell’acqua che beviamo. I reati ambientali si moltiplicano, come un castigo che l’umanità infligge a se stessa e il sintomo di un sistema fondato su premesse fallimentari e disfunzionali.

Eppure, nella maggioranza dei casi queste infrazioni rimangono impunite. Gli agricoltori e le imprese potrebbero riconvertire in modo “green” la propria produzione, ma non lo fanno per mancanza di supporto o per inedia, per avidità o disperazione. Nella prossima parte analizzeremo il caso più eclatante, quello a noi più vicino a livello geografico.