Chi inquina gode, chi s’accontenta muore – Storie di imprenditori predatori – parte 3

OGGI COSA FARE.

Riguardo al caso Italgelatine, e alle leggere sanzioni subite dall’azienda (quattro impianti su otto sono sotto osservazione ed è probabile che siano presto riattivati), è spontaneo domandarsi : perché ci hanno messo tanto? Perché questo timore cauto, questa reverenza timida verso le imprese, anche da parte di chi deve occuparsi della sorveglianza? E soprattutto, perché i titolari dell’azienda – consapevoli del rischio – hanno preferito trascurare gli effetti nocivi che il loro comportamento può avere sulla popolazione?
La giustificazione pubblica, quella dichiarata più o meno esplicitamente dagli imprenditori, sovente si
riferisce alla necessità di mantenere gli standard produttivi in modo da non compromettere la stabilità dei
posti di lavoro. Ma una logica di questo tipo non solo è auto-assolutoria, ma cade anche in un grave errore
epistemologico: posiziona l’economia prima dell’ecologia. Tradotto: non importa se i cittadini si ammalano,
se la loro salute è a rischio, e non importa se il pianeta langue a causa mia: l’importante è continuare a
lavorare. E’ evidente il paradosso implicito. Senza salute e senza un pianeta il lavoro non può esistere.
Ovviamente, il profitto e il mantenimento dei propri privilegi spingono questi potenti imprenditori a negare
(forse anche a se stessi?) la gravità della situazione, giustificando in maniera razionale l’ingiustificabile.

Oggi l’impresa di Santa Vittoria continua a produrre, non mostrando intenzione di reale cambiamento.
Verrà adeguato l’impianto, ma la puzza continuerà a rimanere nell’aria. Nessuna scusa, nessun intento di
riconvertire gli impianti in senso ecologico. Niente di niente. Solo silenzio da parte dei vertici
imprenditoriali. L’olezzo, passando in macchina nei pressi dell’azienda, si sente bene. Questa vicenda è
rappresentativa di tutte le altre. Dei torrenti che si tingono di schiuma, i pesci che muoiono, la sparizione di
ragni, lucciole e farfalle dalle nostre vigne.
Il capitalismo e le sue logiche di efficienza, produttività e profitto si incarnano in un atteggiamento
irriverente, irrispettoso, superbo e avido. Il peccato capitale dell’auto-referenzialità si manifesta in tutta la
propria potenza. I cittadini dal canto loro sono arrabbiati, ma impotenti. Che fare? Come eliminare i rischi
tutelando i posti di lavoro, si chiedono? Rispondiamo che la produzione può essere convertita in un’ottica
“green”, eppure manca la volontà di mobilitare risorse finanziando la ricerca sia da parte delle aziende che
dalle istituzioni. Costruire un modello alternativo insieme agli esperti è possibile. Se i vertici aziendali non lo
capiscono, fare pressione dal basso è un dovere. Scenderemo in campo per dire la nostra. Chiunque abbia
intenzione di contribuire a questa battaglia può scriverci in privato. Studieremo assieme le mobilitazioni
adeguate, in compagnia di esperti cercheremo di proporre un modello alternativo per proteggere un
mondo da predatori che, specchiandosi negli altri e nella natura, non vedono che se stessi.