SIAMO TUTT* SACKO!

Il 2 giugno scorso un ventinovenne è stato assassinato.
Il suo nome era Soumayla Sacko, bracciante emigrato in Calabria dal Mali – alle spalle una famiglia alla quale inviare parte del guadagno mensile.

Nel vibonese, nei pressi della baraccapoli di San Ferdinando (dove cinque mesi fa  perse la vita la giovane nigeriana Becky Moses a causa di un incendio) c’è una fabbrica dismessa e confiscata. Quattro ragazzi africani per ovviare alla mancanza di posti letto, si recano nel cortile dell’ex Fornace in cerca di pezzi utili da riportare al campo. Poi quattro spari e Soumayla cade a terra colpito alla testa. Un tiro al bersaglio che ha prodotto altri due feriti.
Il giorno successivo in memoria del giovane ucciso un corteo per le strade di Gioia Tauro scandisce il coro “Toccano uno, toccano tutti”. In tutta Italia i movimenti e i sindacati scendono in piazza per ricordare il compagno assassinato.
Aboubakar Soumahoro, dirigente del sindacato autonomo Usb ha dichiarato “A Salvini vogliamo dire che la pacchia è finita per lui, perché risponderemo. Per noi la pacchia non è mai esistita, per noi esiste il lavoro”.

Sacko viveva come da sempre sono costretti a (sopra)vivere tutti i migranti del mondo. Il disagio dei lavoratori internazionali si genera dal concetto di manodopera a bassocosto, oro per il padrone – il lavoro stagionale consente il risparmio totale: gli operai sono sottopagati, dormono ammassati e mangiano male. Perchè chi è povero, chi è disperato s’accontenta, molti imprenditori colgono la palla al balzo per ottimizzare i profitti – s’innesca così un meccanismo di sfruttamento, di diritti calpestati.
Ma non tutti ingoiano il rospo.
Soumayla lottava per maggiore dignità, per vivere in condizioni migliori. 3 euro all’ora non bastano per costruire un futuro: per questo era iscritto al sindacato di base USB, per tentare di mutare lo status quo di un sistema spietato – la mancanza di dignità degli sfruttati non smuove gli animi delle classi dirigenti, né tantomeno le coscienze popolari.

Da qualche anno in Italia prolifera nel substrato culturale un germe d’inconsapevole razzismo, è il senso comune colmo d’odio, fomentato da molti rappresentanti politici e dall’apparato mediatico. E talvolta si sfiora il paradosso – soprattutto in quel sud Italia, che ancora dovrebbe fare i conti con lo spettro dei terroni, della discriminazione e della ghettizzazione attuata mezzo secolo fa dal regno sabaudo e dalla pianura padana tutta. Ma si sa, se il popolo cade nella lotta tra poveri, chi comanda agisce indisturbato – è la logica del divide et impera. E pare che di questi tempi funzioni bene in Penisola.

Per noi  i confini non esistono, non esistono stranieri.
Esistono oppressi ed oppressori.
Sfruttati e sfruttatori.
Perciò siamo tutt* Soumayla Sacko.